Il colore secondo Patrick Tuttofuoco – Intervista agli invitati del PcT 2018

La tua arte è molto varia, sia in termini di tecniche artistiche che esiti espressivi: utilizzi video, installazioni, sculture, ma è sempre presente una forte componente cromatica sia nell’opera stessa sia in relazione al contesto in cui l’opera è inserita. Per te il colore è una caratteristica intrinseca o l’espressione di un’interiorità?

Per come lo uso io, il colore è proprio uno strumento espressivo, non è soltanto una variazione cromatica che esteticamente interviene a definire una forma – che è già moltissimo; ha più a che fare con una dimensione emotiva, con la capacità di esprimere un sentimento, piuttosto che un’armonia estetica formale, come se fosse una gamma in più dell’espressione dell’uomo. Il volto ha una serie infinita di possibilità espressive, ce n’è una in più che è il colore. L’ho sempre vissuto così, come nelle tribù di certe culture ancora molto vicine alla terra e al rapporto più spontaneo con l’espressione dei sentimenti, il colore diventa uno degli elementi principali per significare un momento, una condizione, raccontare un momento di lotta piuttosto che un momento di pace, diventa proprio una gamma espressiva in più.

E’ una gamma espressiva della tua emozione o con cui vuoi suscitare emozioni negli altri, o le due cose in qualche modo convivono?

Le due cose sono fuse: normalmente l’uso molto disinvolto del colore viene associato – in maniera anche superficiale – a un tono ludico, che pure c’è in parte. È una banalizzazione della nostra cultura che relega l’uso del colore al mondo dell’infanzia, lo rende ludico, divertente; in verità il mondo dell’infanzia è molto più vicino all’espressività, anche selvaggia, e per me il colore ha questo valore. Le opere si dovrebbero fare carico sempre di raccontare qualcosa sì di estetico e formale ma anche qualcosa di più profondo; non sono soltanto arte applicata o design, dovrebbero avere con loro un messaggio che ha più a che fare con contenuti profondi, con qualcosa che va al di là, con una spiritualità assolutamente laica ma che l’arte è in grado di trasferire. L’uso del colore, nel mio lavoro, è delle volte addirittura in contrasto con tutte le regole di composizione armonica o di eleganza presunta. Il rispettare queste regole, il cercare la bella forma, è un freno alla comunicazione di qualcosa.

Hai parlato di arte, gioco e spiritualità che sono i tre elementi che gli antropologi ritengono caratteristici dell’uomo a differenza del mondo animale. La sinergia di questi tre elementi carattarizza l’essere umano. Il colore è forse proprio lo strumento con cui perdere un po’ di razionalità per pescare più nell’intimo, nell’istintivo…

Sì, nell’istintivo, nell’inconscio, in una dimensione più profonda. Ognuno ha il proprio percorso per andare all’interno: non per forza quando qualcuno parla di qualcosa di profondo deve farlo con un linguaggio chiuso, criptico, anzi… c’è chi è in grado di parlare solo del proprio inconscio, c’è chi invece quell’inconscio riesce ad esternalo tantissimo e a costruire delle forme che catalizzano gli inconsci, che catalizzano le attenzioni.

L’arte può arrivare direttamente allo spettatore “saltando” la parte razionale?

Assolutamente. Ci sono lavori legati a un approccio più strettamente concettuale che hanno proprio nell’attenzione a tutta una serie di passaggi, nella veridicità, il loro valore, che sono stupende e che hanno rappresentato uno step importantissimo anche nella mia ricerca personale, però ognuno identifica una linea, un approccio. Di sicuro tutta la mia generazione ha una partenza concettuale, però la declinazione è infinita; per quanto mi riguarda il rapporto totalmente disinibito con i colori, quasi come fossero una fonte per una dimensione spirituale, è uno degli elementi fondanti e caratteristici del mio lavoro.

Quanta parte ha la progettazione e quanta parte invece si crea in corso d’opera?

Io progetto un qualcosa che è quasi finito, costruisco un diagramma molto dettagliato, molto preciso, un organismo ipotetico molto coerente, ma poi quando si porta una forma o un pensiero da una dimensione progettuale alla dimensione reale la complessità esplode e le possibilità di prendere accelerazioni differenti sono tantissime; tutte le volte che ciò accade uso questi momenti perché sorprendano me e trasformino il lavoro. È capitato raramente che io sia partito da un progetto dettagliato e abbia realizzato davvero quel progetto, quasi mai. Delle volte mi sono mantenuto più coerente, evidentemente quella volta la cosa doveva arrivare così, ed è arrivata così, ma tendenzialmente non succede mai.

Quando lavori su progetti site specific come ti relazioni con le forme e i colori pre-esitenti nell’ambiente?

È sicuramente importante, sia che tu voglia lavorare in contrappunto, sia che voglia cercare di sottolineare un tratto caratterizzante di un luogo, la considerazione dell’ambiente intorno è importantissima, anche quando lo vuoi negare, quando vuoi usarlo come materiale a contrasto. Devo sempre avere attenzione e sensibilità per l’ambiente attorno e la capacità di sintesi che mi faccia capire in che direzione andare. Non è per forza così, non per tutti gli artisti: ci sono artisti che hanno lavorato completamente sull’opera prescindendo dall’ambiente in cui sarebbe stata collocata, e sono opere stupende, ma non è il mio caso. Io posso lavorare a freddo, semplicemente sul pezzo, ma poi in un modo o nell’altro cerco sempre di trovare una relazione con l’ambiente. È il caso di opere che ho già prodotto e che vengono esposte più volte; in questo caso è evidente che l’opera ha già la sua autonomia, la sua storia, è già conclusa, ed è una cosa che capita spessissimo. È fondamentale che le opere vengano viste e riviste in contesti diversi, fondamentale per l’artista e per le opere stesse. In quei casi però è importante cercare di trovare il modo di mettere in dialogo l’opera, che per me nasce come organismo aperto, con un luogo o con un altro, trovandogli un’angolazione specifica, cambiando magari leggermente la sua forma o la sua morfologia, il suo approccio con lo spazio, cercare delle strategie che sono in realtà necessità espressive mie e delle opere per entrare in dialogo o in scontro con l’ambiente.

Il colore è uno strumento universale di comunicazione? Quanto peso ha la cultura nell’interpretazione del colore e quanto si tratta invece di un’energia intrinseca che viene rilevata in maniera istintiva?

Il colore è uno degli strumenti fondamentali per dare una smossa a incrostazioni o comunque freni culturali interpretativi perché arriva ad un inconscio molto più profondo ma devi avere cognizione di cosa siano questi freni di natura culturale per puoi smuoverli. Io il colore l’ho spesso utilizzato così: è come stordire determinati sensi, che pure sono fondamentali, per arrivare a una sorta di profondo. Inevitabilmente nella nostra cultura tanta energia deve essere usata per abbattere quelle barriere o comunque lavorare in accordo con quelle barriere per superarle, affrontarle per arrivare altrove. Forse anche per questo molto spesso mi capita di usare colori che hanno un’attrattiva che va al di là dell’estetica. Per esempio i colori fluo, che hanno una storia molto legata al linguaggio urbano, alla città, servono da strumento per delimitare ed evidenziare zone o di pericolo o di attenzione differente rispetto alla normalità. Mi capita di utilizzarli spesso proprio perché hanno un ruolo da catalizzatori di un’attenzione differente per poi dopo arrivare a comunicare qualcosa di completamente diverso, delicato, preciso, attento, profondo ma con un linguaggio cromatico che è quello del cantiere, del pericolo possibile. Delimiti una zona di possibile pericolo per fare arrivare un segnale che non è per niente di pericolo, anzi è di grande attenzione.

Tra le “barriere” di cui parlavamo prima, il bombardamento d’immagini a cui la nostra società è sottoposta è una cosa che può essere sfruttata o invece inibisce quella percezione istintiva del messaggio che invece in altre culture o in altri tempi era più immediata?

È una barriera forte, complessa e anche interessante da studiare… la siamo definendo barriera ma è anche la condizione umana nel nostro momento. Non si può lavorare solo in termini di opposizione, di contrasto, devi inevitabilmente giocare con le regole del gioco, con la sua complessità. C’è sempre modo di ottenere quello che si vuole in termini di comunicazione; è la validità di quello che stai facendo e la profondità del pensiero che c’è dietro che vengono fuori o meno. Uno può anche fare un gran lavoro cromatico ma se non c’è la capacità di giocare con questi sistemi, e quindi la comprensione della natura umana, non si riesce ad ottenere uno scambio e questo è un difetto; ma non è un difetto del sistema, è una mancanza di sensibilità dell’artista, di comprensione dell’artista.